Le origini di Isca come quelle di tanti altri paesi della Calabria, affondano le radici nella leggenda o sono avvolte dal velo del mistero perché mancano documenti atti a provare l’epoca della fondazione. Fatta questa importante premessa, confesso subito che non sono riuscito ad acclarare perché il Paese si chiamò Isca e che non ho potuto fissare l’anno esatto della fondazione. Conviene quindi, almeno in questa prima fase, fare un’analisi critica delle notizie tramandate oralmente o messe a stampa senza però corroborare le affermazioni con prove certe. TRA STORIA E LEGGENDA: SANAGASI
"D’origine greca, fu fondata per la prima volta in una località della Marina appellata Sanagasi, a breve distanza dal mare. Tale località fu poi abbandonata a causa delle incursioni saracene e venne ricercata l’attuale sul torrente Valle- scura come recondita e quindi sottratta alle insidie dei pirati. Il paese sorge sopra una collina arenaria, circondata dai monti e aperta verso levante, da cui si scorge il mare Jonio. È ricca di sorgenti ed il suo clima, caldo d’estate, è mite nell’inverno. La parte bassa è coltivata ad olivi, arcaici, gelsi, fichi e viti, la parte montana a castagni, querce, elci e faggi. Vi sono cave di granito. La popolazione è eminentemente agricola e in buona parte emigra ne!le Americhe, causa l’abbandono dell’agricoltura. "
Il "Dizionario Enciclopedico dei Comuni d’Italia" conferma:
"Paese d’origine greca, di cui poco si sa. È nella Vallescura, in territorio fertile e ben coltivato, con produzione di viti, olivi e cereali. "
Fin da bambino, sebbene affascinato dai racconti degli anziani che affermavano l’esistenza in località Zagagli di "Sanagasi", mi sono sempre rifiutato di accreditare una versione sulle origini di Isca che non fosse avvalorata da idonea documentazione o da un qualsiasi reperto archeologico. Due fatti nuovi, intervenuti di recente, hanno abbattuto il mio ostinato scetticismo.
La denominazione Sanagasi è oggi sconosciuta da tutti e presumo che fosse ignorata anche da chi ha ispirato l’estensore del profilo storico apparso su "La scuola in Calabria". Ma il Catasto Onciario del 1743 elenca due cittadini di Isca proprietari di terreni denominati "Sanagasi seu Zagagli" e confermerebbe così che la zona di Sanagasi assunse la nuova denominazione di Zagagli e che la Sanagasi della leggenda (seè mai esistita) potrebbe essere sorta nella località Zagagli: i due toponimi indicano infatti la stessa estensione di terreno. L’altro fatto nuovo, non trascurabile, è rappresentato da un vecchio rudere, affiorato nel 1978 nella località Zagagli dietro il frantoio dell’avv. Pittelli. nel corso degli scavi eseguiti per posare i tubi di un nuovo braccio della rete idrica di Isca Marina. I materiali intravisti (laterizi e cocci) sembrerebbero risalire almeno ad epoca romana.
Storicamente provate sono invece le cause dell’abbandono di tutti i centri del litorale. Nel secolo IX gli abitanti, terrorizzati dalle frequenti incursioni dei Musulmani, si trasferirono all’interno, in luoghi più sicuri e facilmente difendibili.
ORIGINE DEL NOME Il compianto sac. don Tito Voci fa derivare Isca dal greco plurale neutro "ìschon = ritegno" e spiega che "gli ischa sono letteralmente i ritegni, cioè i ristagni di acqua formati dalla occlusione delle frane a Vallescura, su cui sorge la prima borgata di Isca. Ciò – prosegue- è conforme alla tradizione, secondo la quale Isca fu fondata da contadini o pastori impediti di tornare a Badolato per le acque.
Secondo Gian Vincenzo Sanfile , il Paese prenderebbe, invece, il nome da un’erba "isca" che, masticata. calma il dolore dei denti.
Il prof. Gerhard Rohlfs, autore di sistematici scavi linguistici nei dialetto calabrese, asserisce che "isca", nel nostro idioma, indica una "zona boscosa lungo il corso di un fiume". Ed io suppongo che Isca prese il nome dal toponimo del fertile promontorio, lambito dal torrente Valleoscura, su cui i primi abitatori edificarono le loro dimore.
SAN MARZIALE MARTIRE PROTETTOREPadre Tavone, non meglio descritto dai documenti dell’epoca, nel 1726 aveva fatto pervenire a Isca una reliquia di San Marziale martire e dal sindaco fu subito convocato il "parlamento" per verificare l’esistenza del favore della popolazione alla proclamazione diS. Marziale a protettore del Paese. Fu così che nei. primi giorni del mese di agosto dell’anno 1726 il sindaco di Isca ha indirizzato al vescovo di Squillace. mons. Marco Antonio Attaffi. una lettera con cui chiedeva:
1) il riconoscimento della reliquia. 2) la collocazione della stessa in un reliquario da custodire nell’ altare del SS.mo Rosario, 3) la facoltà ai sindaco e agli eletti di poter portare durante la ore cessione le mazze del palio, 4) la solennizzazione della festività del Santo. 5) la "licenza"di poter esporre la reliquia "in ogni necessità ed occorrenza del pubblico". Il vescovo Attaffi accordava il suo beneplacito con decreto datato Petrizzi 11 agosto 1726.
Un anno dopo il 30.8.1727, gli amministratori, il procuratore e il clero di lsca hanno sottoscritto diritti ed obblighi verso S. Marziale con atto pubblico redatto dal notaio Alessio Ortona. Sono comparsi davanti al notaio il sindaco Francesco Anastasi, gli eletti Lorenzo Anoja e Domenico Buffetta ed il magnifico Giovanni Maria Anoja, primo procuratore del Santo. Dal testo del documento apprendiamo che, all’epoca in cui è stato stipulato l’atto, i sacerdoti in a Roma per la "bolia" erano già tornati per cui "i! predetto odiernoSindaco ed e/etti, in nome del Pubblico, prendono ed accettano per Protettore di questa nostra Patria il nomato glorioso Santo Marziale Martirecon gli infratti patti e condizioni:
In primis che detto glorioso Santo ci abbia a guardare da Peste, Fame, Terremoti, e Turchi per essere nostro Protettore;
Che nel suo giorno nella processione abbia da portare il Paleo per la Terra il Sindaco e i suoi eletti;
Che le chiavi dello Stato dove sta la Reliquia del nomato Santo una l’abbia da tenere il Procuratore e l’altra il Parroco.
L’atto pubblico, integralmente riprodotte nelle pagine chiarisce ancora che:
la nomina del procuratore sarebbe avvenuta ogni anno, nei giorno della festa, con una votazione cui avrebbero preso parte cinque "votanti" per il clero e cinque per il sindaco, gli eletti ed il Vicario foraneo:
nello stesso modo sarebbero stati eletti coloro che " gli razionali" avrebbero dovuto controllare iconti resi dal procuratore:
nè il procuratore né il parroco potevano impedire l’esposizione della reliquia "ad ogni bisogno del Pubblico":
in caso di costruzione della cappella di S Marziale si potesse in essa trasferire la reliquia provvisoriamente collocata nell’altare del SS. Rosario:
il procuratore di S. Marziale doveva partecipare alle spese per l’abbellimento e il mantenimento della Cappella del SS. Rosario fino a quando la reliquia non sarebbe stata altrove collocata:
nel caso di nomina alla carica di procuratore di un. ecclesiastico, la chiave dello "Stipo" doveva essere custodita dal sindaco.
L’Università si èimpegnata a contribuire alla spesa per la festa con dieci ducati all’anno, da corrispondere al procuratore entro il primo luglio, e con una integrazione a pareggio nel caso che la spesa fosse stata superiore a dieci ducati e non fosse stata coperta dalle offerte dei fedeli.
La devozione per il Protettore e andata sempre più crescendo e ben presto il procuratore del Santo, grazie alle offerte sempre più numerose e onerose, ha potuto rinunciare ai contributo deI Comune per l’organizzazione dei festeggiamenti.
Con decreto reale n. 1310 - datato Napoli 17.11.1824 - è stata istituita la fiera nei giorni di venerdì, sabato e domenica successivi al 10 luglio di ogni anno, fiera di cui si racconta che, fino alla conclusione della seconda guerra mondiale, ha sempre richiamato a Isca una moltitudine di persone proveniente dai paesi vicini. Oggi in coincidenza dei festeggiamenti in onore di S. Marziale organizzati con grande sfarzo, si registra un rientro massiccio di emigranti dalle Americhe e dalle località dove si sono trasferiti per ragioni di lavoro. A cura ed iniziativa delle comunità iscane colà residenti, la festa di S. Marziale viene solennemente celebrata anche a Toronto, Montreal, Philadelphia e Kulpmont PA.
Periodicamente attori locali in costumi romani rievocano sul palcoscenico la vita e il martirio di S. Marziale in base ad un copione, di autore anonimo, che risale alla fine del secolo XIX.
Isca Marina
All’indomani del terremoto dell’ 11 maggio 1947 si gettarono le basi per la fondazione di Isca Marina. I tecnici del Genio Civile si opposero alla ricostruzione nel vecchio sito degli edifici crollati in seguito al movimento tellurico perché stimarono la zona soggetta ad elevato rischio sismico e consigliarono un insediamento abitativo sul litorale. Fu così che venne espropriato al barone Mario Paparo, sulla statale Reggio Calabria - Taranto e a monte della linea ferroviaria, un vasto uliveto nelle località Currija e Zagagli e si diede inizio alla costruzione a spese dello Stato dei ricoveri stabili di prima urgenza destinati ai terremotatì. I primi alloggi (costruiti dall’impresa Rizzo e per questo detti "i palazzini ‘e Rizzu") furono abitati già alla fine del 1947;i lavori proseguirono incessantemente e negli anni seguenti vennero completati e assegnati ai sinistrati circa centosessanta appartamenti. Furono contemporaneamente realizzati marciapiedi, strade e piazze. Altri allegati costruirono in seguito alle disastrose alluvioni.degli anni 1951 e 1953. Nel 1953 presero l’avvio anche i lavori di costruzione dell’edificio scolastico, della Chiesa e del portico con alloggi, magazzini e locali da adibire ad uffici pubblici. Ma le condizioni di vita dei primi abitanti di Isca Marina furono assai precarie. Mancarono l’ acqua. Potabile, l’energia elettrica e tuttigli altri servizi. L’acquedotto fu attivato nel 1951. L’elettricità giunse nel 1953, le strade sono state bitumate nel 1954, l’edificio delle scuole elementari venne aperto per l’anno scolastico 1956/1957, e l’illuminazione pubblica entrò in funzione nel 1958. Negli anni "settanta" però Isca Marina si avviò rapidamente verso un organico e razionale sviluppo urbanistico e divenne con la realizzazione di efficienti e moderne strutture turistico alberghiere invidiabile meta di villeggianti per vacanzieri italiani e stranieri.
SCAVI ARCHEOLOGICI A ISCA
Un'antica villa di epoca romana, e venuta alla luce durante le campagne di scavi che si susseguono ormai da 4 anni in Isca Marina località Zagaglie. Una delle novità di quest'anno è stato il ritrovamento di una statuetta in bronzo (tra il I e il II secolo d.C.), raffigurante la dea Athena con un serpente. Attualmente, la statuetta si trova nel museo di Monasterace. Tra gli altri numerosi reperti si evidenzia una moneta Traianea (98-117 d.C.) proveniente da Abydus (Troade), un Duponio Augusteo (18 a.C.), Un Antoniano di Claudio II il Gotico (III sec. d.C.), un AE 4 di Costantino I (IV sec. d.C.), un anulus signatories (anello con sigillo incastonato), oggetti in bronzo, ceramica fine e da fuoco, sigillata africana, vetro, frammenti di anfore vinarie. Ubicata nel medio golfo di Squillace, tra l'antica Skillation-Scolacium e l'antica Kaulon-Stilida, il sito di Isca rappresenta la prima evidenza archeologica in un'area ancora poco conosciuta. tale ricerca, getta nuova luce sulle attuali conoscenze dove una quasi totale assenza di dati è spiegabile soltanto dalla carenza di ricerche sul territorio.
I mulini ad acqua erano già noti ai romani all’epoca di Cristo, ma venivano poco usati. Solo nell’Alto Medio Evo diventano le macchine più utilizzate nelle attività produttive. In Europa l’età dei mulini inizia verso l’anno 1000 e dura fino a quando essi non vengono sostituiti prima dalla macchina a vapore e poi dall’alimentazione elettrica. I mulini sorgono sulle rive dei fiumi, nei punti in cui esiste un certo dislivello d’acqua. Uno stretto canale artificiale, detto gora, convoglia l’acqua sulla ruota idraulica. Per regolare la velocità si agisce sulla saracinesca della chiusa, che aumenta o riduce il flusso d’acqua. Il mulino ad acqua è costituito da una ruota con pale (ruota idraulica) fissata a un albero (asse) e mossa da una corrente d’acqua che le imprime un movimento rotatorio continuo. Il moto viene trasmesso direttamente, o attraverso una serie di ingranaggi, a macine, seghe o altre macchine. Nei mulini più antichi (come quelli greci), l’asse è verticale rispetto alla direzione della corrente e l’intera ruota è immersa nell’acqua. Direttamente fissato all’albero in rotazione, il disco superiore della macina ruota alla stessa velocità delle pale e, strofinando su un disco fisso, macina il grano. Il mulino greco, di piccole dimensioni e piuttosto lento, si usava soprattutto nelle zone di collina, dove le correnti d’acqua erano più forti e imprimevano una rotazione più rapida alle pale. In seguito, sfruttando tecniche costruttive più perfezionate, le ruote idrauliche furono fissate ad un asse orizzontale. Un sistema di ruote dentate trasferiva il movimento della ruota e del suo asse a una macina. Successivamente si sono costruite ruote idrauliche alimentate dall’alto. Il sistema di rifornimento dell’acqua è più complesso ma più efficiente. La ruota infatti non viene azionata solo dalla corrente, ma anche dal peso dell’acqua in caduta. La potenza di un mulino può essere accresciuta aumentando il diametro della ruota. Mulini dotati di più ruote idrauliche, con diametri fino a 3 m. potevano macinare anche 3 t. di grano l’ora. Nel territorio del Comune di Isca sullo Jonio, i mulini sono stati costruiti lungo il torrente che costeggia la vallata a sud del paese, precisamente nella zona chiamata Cundimina (chi indovina???), dove, il pendio favoriva l’alimentazione dei mulini dall’alto. Tutt’oggi si possono vedere resti di diversi mulini. Gli anziani del Paese ne elencano sette, sempre sul lato sinistro del fiume, guardando i monti, di proprietà dei signori feudatari del posto. I mulini venivano solitamente dati in gestione a due famiglie, che si avvicendavano al lavoro ogni settimana. Nel 19° e nella prima metà del 20° sec. i mulini avevano un ruolo fondamentale sulla vita e sull’economia del paese. Il macinato, di qualunque natura, era indispensabile per il sostentamento della persona, della famiglia, degli animali. Essi macinavano di tutto: grano, granturco, orzo, fave, favette, ceci, castagne, ghianda e cereali di vario genere. Il pagamento avveniva sempre in natura, parte del quale, secondo accordo annuale, veniva ceduto dal gestore al proprietario del mulino. Il mulino era in funzione tutto l’anno, in inverno favorito dalla continua presenza dell’acqua, mentre in estate si formava un raccoglitore naturale (ritegno) che, aperto quando pieno, dava la possibilità di azionare il mulino. L’acqua passava da un mulino all’altro, permettendo l’operatività dei mulini del posto che si trovavano tutti dallo stesso lato e poi veniva utilizzata per irrigare. Una volta svuotata la vasca, il prossimo turno era possibile alla prossima apertura della vasca. Il primo ritegno era quello del mulino dei dimari. Un canale/acquedotto apposito portava l’acqua alla saetta del mulino, dove, scendendo con impetuosità, metteva in funzione il meccanismo di macinatura. Per saetta s’intende la torre del mulino, costituita da anelli di pietra concentrici per restringere il gettito d’acqua aumentandone la pressione e la forza d’urto sulla ruota idraulica. Alla base della saetta si trovava l’ambiente o casetta di collocamento delle macine, ora quasi tutte distrutte, e di trasformazione del prodotto in farina. Ora è possibile solo individuare due ambienti del genere, al mulino di cundimina e a quello di Menniti. I mulini hanno mantenuto la loro funzionalità fino agli anni 50, quando furono soppiantati da quelli elettrici. Inoltre, l’alluvione del 1951 ha distrutto quasi tutte le strutture dei mulini ad acqua e la distruzione totale di resti è avvenuta con l’alluvione a settembre del 2000. Attualmente è possibile individuare bene la torre del mulino di Cundimina, di Ripoteja e di Valle Oscura. Quest’ultimo, poiché trovasi in una zona pianeggiante, presenta una struttura di torre ben diversa: più larga e più bassa alimentando la funzionalità non dall’altezza, ma dalla quantità maggiore del gettito d’acqua. I mulini di Isca - - Zona Cundimina (Chi Indovina) Fino agli anni 50 nel Comune di Isca sullo Jonio esistevano resti di 7 mulini, di cui 5 ancora funzionanti. 1. Località Dimari – proprietari famiglia Costarella/donna Camilla – gestito dalla famiglia di Mirarchi Teresa – (Maherati), distrutto verso il 1915. L’alluvione del 2000 ha riportato a luce le macine del mulino; 2. di Don Antonio Cosentino (il primo scendendo dal paese), noto pure come il mulino di cundimina, gestito dalla moglie di Leone Anania, Rosina Nesticò, e da Cristiano Vittorio; 3. di Menniti - subito dopo, adesso totalmente distrutto e non raggiungibile per le frane dell’alluvione del 2000, gestito da Anania Caterina e da Maria Coroniti; 4. di Don Vincenzo Sgro – subito dopo, totalmente distrutto nel 1951, ; 5. del Barone Paparo – località ripoteja, gestito ultimamente da Pasquale Coroniti e figlia Marietta assieme alla sorella Concetta, mamma di Marziale Mirarchi – postino, e prima ancora da Bruno Coroniti, poi da Filippina, sua figlia; 6. del Barone Paparo – località Valle Oscura, gestito dalla famiglia Saverio Calabretta (Havata), nonno di Maria Calabretta; 7. di Don Feudale – località vicino il ponte sotto il cimitero, in disuso da diverso tempo. I mulini rappresentavano una parte essenziale per l’economia del Paese e il benessere della comunità. Il periodo di macinatura era continuato, in inverno ed estate. Nel periodo estivo a casa della scarsità d’acqua era necessario servirsi del ritegno (vasca per raccogliere acqua), il primo localizzato prima del mulino più in alto, cioè ai dimari. L’acqua passava da un mulino all’altro, trovandosi tutti in discesa e nella stessa riva del fiume, e poi veniva utilizzata per irrigare. Il pagamento avveniva in natura, di solito un coppo per tomolo. La macinatura al giorno raggiungeva 10 quintali circa. La gestione del mulino veniva affidata a due famiglie, che si avvicendavano settimanalmente. I sacchi venivano portati al mulino in testa dalle donne che lo gestivano. Si ringraziano tutti coloro che hanno riferito notizie utili sui mulini e sulla loro importanza nella vita socio-economica del paese nella prima metà del secolo scorso e precisamente i signori: - Dominijanni Antonio - Guarna Giuseppina - Coroniti Marietta - Mirarchi Marziale Antonio, figlio diCoroniti Concetta - Ines Calabretta Lacroce - Procopio Adelina. - E’ stato possibile avere notizie dirette soprattutto sulla gestione del mulino di Ripoteja. Non si sono avute notizie sulla data di costruzione dei mulini, ma pare che in Isca venissero costruiti verso la II metà del 18 secolo. Nel 1737, come riporta il Rag. Mirarchi nel suo libro ISCA da Sanagasi ai giorni nostri nella pag. 54 punto 10, a Isca c’era “un molino ad acqua per macinare grano ed altre vettovaglie (appartenente al Principe di Satriano” Don Filippo Ravaschieri )”.